L’ADHD (acronimo di “Attention Deficit and Hyperactivity Disorder”), in italiano Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, è considerato il disturbo del neurosviluppo più frequente in età infantile e spesso persiste in età adulta. E’ caratterizzato da difficoltà a mantenere l’attenzione sostenuta e/o “iperattività”, intesa come aumentata attività motoria e impulsività, ovvero difficoltà nell’inibire risposte emotive e comportamentali.
Le manifestazioni cliniche sono varie e secondo gli attuali sistemi di classificazione diagnostica (DSM 5) si dividono in base alla sintomatologia prevalente
- prevalentemente inattentiva
- prevalentemente iperattiva/impulsiva
- combinata
Tuttavia nella pratica clinica l’ADHD si associano, oltre alla sintomatologia sopracitata, dimensioni sintomatiche aspecifiche come la disregolazione emotiva e il deficit delle funzioni esecutive. Entrambe non risultano esclusive dell’ADHD ma rappresentano dimensioni trasversali presenti in molti altri disturbi.
Occorre precisare che i sintomi ADHD sono, in misura variabile, presenti nella popolazione generale e la loro presenza saltuaria e non pervasiva non è sufficiente a definirne la sindrome e il conseguente disturbo.
Negli ultimi anni è cresciuta molto la consapevolezza sul tema. Alcune persone ritengono che la definizione di ADHD rischi di “patologizzare” comportamenti normali, come ad esempio le difficoltà nell’organizzare i propri compiti. Ciò inserirebbe l’ADHD e i disturbi dello spettro autistico nel paradigma della Neurodiversità, che riveste una posizione di grande ispirazione e interesse nella comunità scientifica e nel dibattito sociopolitico. Vista la complessità del tema, affronteremo questi concetti in altre aree del sito. In questa sezione, salvo diversamente indicato, si farà riferimento al sistema nosografico del DSM 5 e alla nomenclatura usata nella letteratura scientifica attuale.
EPIDEMIOLOGIA DELL’ADHD
In età infantile ha una prevalenza di circa il 3-5% con un rapporto maschi:femmine 3:1. Questo dato è dovuto alla presentazione clinica che nel genere maschile è più frequentemente associata a sintomi di iperattività e disturbi del comportamento (spesso in comorbidità con Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente e/o Disturbo Oppositivo-Provocatorio). Di conseguenza risulta spesso misconosciuto e sotto-diagnosticato nel genere femminile, in cui le manifestazioni cliniche sono più frequentemente inattentive. La discrepanza nel numero di diagnosi tra i generi è compresa tra 1:5 e 1:9.
Attualmente l’ADHD non è più considerato un disturbo esclusivamente dell’età evolutiva poichè può potenzialmente caratterizzare l’intero arco di vita di una persona. In tal senso l’ADHD può persistere in età adulta sia in una forma sindromica completa o in una condizione di “remissione”, più o meno parziale, causando una compromissione del funzionamento psicosociale su diversi livelli e un significativo disagio psicologico.
La prevalenza dell’ADHD in età adulta è stata stimata intorno al 2,8% (in un range tra 1,4% e 3,6%) con persistenza anche oltre i 60 anni di età, su cifre comprese tra il 2,8 e il 4,2%. I dati di persistenza in età adulta non mostrano la disparità di distrubizione tra i generi, con un rapporto maschi:femmine(x) vicino a 1:1.